18 giugno. Sabato. 17:59 | Ingresso della Scuola Normale
Comincio.
No, ancora un attimo: non sono ancora tutti. Non c’è il direttore della Scuola Normale. Cristo, mancano quaranta secondi alle 18. Se non comincio, non ci si fa. Non lo dovevo fare, non dovevo accettare l’incarico. Che figuraccia!
Guardo il manipolo di persone che ho davanti. Ignorano, i più, la grande sfida col tempo che ci attende. Ostento sicumera. Un altro secondo e sono fritto. Guardo Lina Bolzoni, sorride. Un’altra frazione di secondo e sono frittooo! Guardo Silvia Panichi. Sorride. Mancano venticinque secondi alle 18.
Fritto fritto fritto. Ho davanti Massimo Foschi. Sorride pure lui. Tanto a lui che gliene frega: a essere fritto sono io. Io e quegli altri tre. Sento già il puzzo di fritto… Zipoli? Dov’è Zipoli? Cannizzaro e Morosi mi si fanno appresso e me lo trascinano davanti, quasi m’avessero sentito. I Tre Moschettieri, li chiama Lina. Un cenno del capo. Siamo fritti ragazzi, penso. Lo sappiamo, pensano loro. Zipoli, che ha sempre fame, nel pensare al fritto si lecca i baffi.
Dieci secondi alle 18. Io comincio, Direttore o non Direttore. Nove. Otto. Sette. Sei. Non voglio essere fritto. Cinque. Quattro. Tre. Due. Il Direttore è arrivato. Uno… Esplodo d’ottava:
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l’ire e i giovenil furori
d’Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.
Le 18: 00 sono passate da venti secondi. Ho appena recitato l’incipit dell’Orlando furioso.
Stiamo festeggiando i Cinquecento anni dalla prima edizione.
La prima ottava è detta.
Non c’è male…
Ne mancano solo 4841.
18 giugno. Sabato. 18:10 | Interno della Scuola Normale
Dopo di me il canto in ottava. Perché l’ottava un tempo era cantata dai poeti contadini, ineguagliabili verseggiatori. Ora alcuni amici attori intonano le ottave che seguono, con l’arcana litania che sfugge da sempre ogni tentativo tassonomico.
Nata pochi dì inanzi era una gaaara
tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaaaldo;
che ambi avean per la bellezza rara
d’amoroso disio l’animo caaaaldo.
Troppo ruvida per il pentagramma, l’unica custodia per quella musica pare essere la voce. Giulia sta cantando la fuga d’Angelica. Con lei Gabriele, Marco, l’altra Giulia, Letizia, Silvia, Chiara, Francesca. I versi cantati in ottava aggrediscono lo spettatore. Lo aggrediscono proprio, fisicamente! È come se le onde sonore lo prendessero per il bavero e gli intimassero: “o mi ascolti o sputi i denti!”.
Ciò che commuove è come quell’ascolto, chiesto con maniere un po’ forti, si riveli poi intimissimo.
Bah, roba d’altri tempi. Come i corridoi della Scuola, come gli stemmi, come queste scaffalature. Come un paladino in armatura che sbuca da uno studio. Lo si sarebbe preso per un’evocazione, se non stesse parlando al cellulare. È Francesco Cannizzaro truccato da armigero: la parte trash del nostro progetto di lettura pubblica. In ogni grande raccoglimento collettivo, qualcosa che rompa i coglioni ci vuole…
Speriamo acuisca l’ascolto, quell’incursione.
Da come il pubblico lo guarda parrebbe di no…
18 giugno. Sabato. 21:14 | Cortile interno della Scuola Normale
Incorniciato dal Coro Galilei, Massimo Foschi canta il meglio dell’Orlando furioso. Sentirlo è uno spasso: va su e giù d’ottava in ottava, rispolverando gran parte degli amorazzi che animano l’opera. Fu il primo Orlando, per Luca Ronconi, quasi cinquant’anni or sono. La sua voce è inconfondibile.
Tra me e uno sconosciuto si svolge il seguente dialogo:
– Ehi, scusa!…
– Sì?
– Te sei uno degli organizzatori?
– Sì.
– Ma… Luilì (indicando il Foschi) Mi pare d’averlo già sentito…
– Oh, senz’altro… è un doppiatore famoso: Rutger Hauer in Ladyhawke, per fare un esempio…
– Boia!? Rutger Hauer!?… Ora che ci faccio caso, è vero, è lui… Incredibile…
– Ma ha fatto anche tanto altro…
– Sì?!
– Sì…
– Tipo?
– Beh…quando ha finito, avvicinalo e fatti dire: “la forza scorre potente in te, giovane Skywalker!”
-…NOOO?! NON PUÒ ESSERE LUI!?…
– Ascoltalo…
– È vero, cazzo, è vero! DARTH FENER LEGGE L’ORLANDO FURIOSO!
Alcuni shhh! di chi sta intorno, chiudono la conversazione.
18 giugno. Sabato. 23:22 | Cortile interno della Scuola Normale
Siamo alla fine del Canto X, felici di essere ancora al 18 giugno. Ben trentotto minuti ci separano dalla mezzanotte. Da non crederci! Certo, per riuscire a rispettare il cronoprogramma abbiamo dovuto chiedere asilo per qualche canto vagabondo. I canti XI-XII sono stati letti nel cortile di San Matteo, mentre il XIII, il XIV e il XVII, alla Libreria Ghibellina. Hanno letto 98 persone. Era dai tempi delle grandi letture curate da Roberto Fratini Serafide (a cui va un saluto d’affettuosa riconoscenza) che non si vedeva un simile prodigio!
Oggi, 18 giugno 2016, Pisa ha letto e ascoltato 1/3 dell’Orlando furioso.
Con Francesco Morosi recitiamo gli ultimi versi della giornata per l’ultimo manipolo di prodi ascoltatori, saltellando tra il pozzo al centro del cortile e la scalinata.
Cannizzaro chiede licenza di uscire dall’armatura.
La mettiamo ai voti. Due contrari e uno favorevole.
19 giugno. Domenica. 23:15 | Gipsoteca
La domenica è andata senza intoppi, nonostante il tempo minacciasse pioggia. Almeno cento lettori hanno sfidato l’ottava ad alta voce. La nostra macchina organizzativa non si è mai inceppata. Molti i luoghi di lettura e ascolto, ognuno piantonato da un moschettiere. Palazzo Blu, retto dal prode Zipoli; SMS tenuto da me e da Cannizzaro, finalmente sortito dal ferro dell’armatura; l’audace Morosi alla Gipsoteca, dove adesso ci siamo ritrovati tutti.
Potremmo a questo punto realizzare un prontuario per “letture collettive su vasta scala”: si sceglie l’opera (grande, grandissima), si scelgono i luoghi, si definiscono le postazioni dei lettori facendo attenzione a creare un ambiente avvolgente e confortevole (illuminazione, tipologia della seduta, amplificazione), si lancia sui social l’appello alla città, seguendo quanti più canali possibile. Una volta raccolte le adesioni, si danno le parti (di solito si divide l’opera per il numero di adesioni), si fanno le convocazioni (i lettori convocati devono arrivare almeno mezz’ora prima del loro turno, in modo da essere identificati e ben istruiti). Infine si stabiliscono le riserve, che di solito siamo noi del comitato di regia.
Oggi l’Orlando è corso meravigliosamente.
All’unanimità si è eletta la “chicca” della giornata: il piccolo naviglio, capitanato da Giulia Solano e Paolo Gervasi, che navigando tra gli scali dell’Arno ha sparato per tutto il pomeriggio versi sulla città. Causa impegni di piantone, nessuno di noi è riuscito a vedere molto di codesta ambitissima tappa.
Così ce lo siamo immaginato, ciascuno a suo modo.
E ci divertiva il pensiero di qualche passante sui Lungarni, incuriosito dall’imbarcazione, con l’orecchio teso a cercar di decifrare quell’Ariostesco borbottio…
20 giugno. Lunedì. 23:00 | Logge dei Banchi
Siamo alla fine. Oggi si è letto a palazzo Lanfranchi e ad Argini e Margini. Sta quasi a me: così come avevo principiato, chiuderò il poema.
Più di trecento lettori per 38736 versi. Chiamo a raccolta intorno a me i tre moschettieri, per gli ultimi dettagli. Cannizzaro è di nuovo in armatura: non lo biasimo. Sentiamo che il mondo dei paladini ha i versi contati e faremmo di tutto per restarvi attaccati. Temiamo crisi donchisciottesche. Con gli altri ci lanciamo in considerazioni metafisiche sul senso di una lettura ad alta voce, orgogliosi di aver aggirato la trappola dello “spettacolo”. Sì, perché siamo partiti di lì: dall’idea di confondere ascoltatori e lettori, ricercando un senso di partecipazione arcaico, rituale. Abbiamo evitato i pulpiti, agevolando i convivi. Ci siamo immaginati falò, attorno ai quali raccontarsi a vicenda questa straordinaria fiaba d’altri tempi. Così, al di là del timbro e della potenza, ogni voce si è fatta convincente, necessaria, come in natura è necessaria ogni tipologia di rumore.
Che altro dirci? Rodomonte e Ruggiero sono alla resa dei conti, non si può por altro tempo in mezzo. Leggo.
E due e tre volte ne l’orribil fronte,
Alzando, più ch’alzar si possa, il braccio,
Il ferro del pugnale a Rodomonte
Tutto nascose, e si levò d’impaccio.
Alle squalide ripe d’Acheronte,
Sciolta dal corpo più freddo che giaccio,
Bestemmiando fuggì l’alma sdegnosa,
Che fu sì altiera al mondo e sì orgogliosa.